di Eugene T. Gendlin, PhD University of Chicago
In R.L. Levant & J.M. Shlien (Eds.).
traduzione di Emmy Parisi
La terapia centrata sul cliente e l’approccio centrato sul cliente. Nuove indicazioni sulla teoria, la ricerca e la pratica. New York: Praeger.
Negli ultimi dieci anni abbiamo imparato molto sul lato del cliente nel processo terapeutico. Abbiamo sviluppato una conoscenza e una pratica molto specifiche, chiamate focusing. Negli ultimi anni ci sono stati molti sviluppi.
Teoria e specificità esperenziale possono sembrare molto distanti. Non è così! La teoria più basilare e il dettaglio esperienziale più specifico prosperano l’una sull’altro.
Da dove provengono, precisamente, i passi di cambiamento?
Il lato del cliente nel processo di cambiamento è stato discusso solitamente in relazione alla domanda: “Esattamente a cosa, nel cliente, il terapista deve rispondere? La risposta consueta era “il sentimento”, ma questo termine può creare confusione.
No, non si tratta esattamente del “sentimento”, anche se rispondere ad esso va nella direzione giusta. Noi vogliamo rispondere a quella cosa, nel cliente, dalla quale provengono i passi di cambiamento. Lasciatemi chiedere, invece: Cosa è, nel cliente, quella cosa dalla quale provengono i passi di cambiamento? Che non è esattamente il “sentimento”, certamente non i sentimenti familiari ed identificabili. I passi di cambiamento provengono piuttosto da un “margine” indistinto, non chiaro, un “significato” che punta a più di quanto non si dica e si sappia.
Ora, noi chiamiamo un tale margine indistinto una “sensazione significativa”. Dal momento che è qualcosa che viene sentito, dobbiamo essere precisi su come essa differisca dai soliti sentimenti chiari e riconoscibili.
Due Differenze tra Sentimenti e Sensazione Significativa: la Sensazione Significativa è Indistinta e Meno Intensa
Facciamo un esempio: un cliente può sentirsi arrabbiato e saperne dire il perché. In un processo terapeutico efficace, questo sentimento “si aprirebbe” e ne nascerebbero passi ulteriori. Ma supponiamo che il cliente dica: “Sono arrabbiato, ti ho detto perché e questo è tutto. Non succede nient’altro.” Presumiamo che il terapista abbia risposto alla rabbia e alle sue ragioni. Che cosa, esattamente, non sta accadendo?
Quando la terapia funziona, a questo punto si verificano alcuni passi del processo. Vengono dal sentimento di rabbia, esattamente? Molti terapisti la pensano così. Essi portano i loro pazienti a sentire tale rabbia sempre più intensamente. Presumono che i passi lungo il processo provengano dai sentimenti, quindi che la rabbia non sia stata sentita a sufficienza. Spesso però le persone vivono gli stessi sentimenti più e più volte, e con una certa intensità, senza che i passi di cambiamento sopraggiungano.
Ad esempio, i passi di cambiamento potrebbero essere:
C.: (silenzio)… (respiro)…, si sente qualcosa di pesante… come… qualcosa che vuole essere arrabbiata…
T.: qualcosa lì vuole essere arrabbiata.
C.: Mhm… (silenzio)… Oh (respiro)… sì… se smetto di arrabbiarmi non dovrò farci più niente… sì… mi piacerebbe dire soltanto che è OK e non dover fare fronte alla situazione. Ho fatto così talmente spesso.
Questi passi non sono venuti esattamente dal sentimento di rabbia. Invece, è quella qualità “pesante” ciò che si apre generando tali passi. Questo qualcosa che ha la qualità di essere pesante è la sensazione significativa. Una rabbia più intensa non li avrebbe fatti emergere. La qualità pesante non è forte quanto la rabbia.
La sensazione significativa è meno intensa dei sentimenti ordinari. Se non si è calmi e concentrati si può perdere il contatto con essa. Da una sensazione significativa possono venire dei sentimenti molto intensi, ma la sensazione significativa stessa è meno intensa.
Le persone cambiano attraverso sentimenti che non hanno sentito coscientemente ed espresso prima. Una maggiore intensità di sentimenti familiari non porta il cambiamento. Le persone spesso sentono ed esprimono con forza sentimenti ripetitivi, eppure i passi del processo non arrivano.
I passi di cambiamento e del processo non provengono direttamente da sentimenti riconoscibili come tali.
Essi vengono piuttosto da un “qualcosa là” oscuro, vago e indistinto, uno strano genere di dato di coscienza diretto. Ma, spessissimo, all’inizio, quando le persone rivolgono l’attenzione all’interno, non vi è nessun dato del genere. Tipicamente si trovano i sentimenti che sono familiari e nessun senso indefinibile.
Una persona lo ha descritto così: “Per molto tempo non ho potuto trovare quel “senso” indistinto. Prestavo attenzione alle emozioni, ma queste sembravano essere semplicemente quello che erano, chiare ed ovvie, e sentite nel corpo. La svolta avvenne quando iniziai a notare che le emozioni portavano con sé qualcosa di più. Una analogia: se l’emozione fosse un triangolo con lati regolari ed angoli fissi, la sensazione significativa appare quando guardo più da vicino e scopro che una forma nebulosa emerge da dietro il triangolo.”
Una volta trovato, le persone raccontano che quel senso oscuro “era” là da sempre, ma non notato. Prima, tuttavia, semplicemente non c’era. Il suo primo arrivo è un evento impressionante di per sé.
Differenza tra le Consuete Sensazioni Corporee ed una Sensazione Significativa di Qualcosa nella Propria Vita
Mentre le persone riflettono su un problema, o provano qualche emozione problematica, di solito provano un disagio nel corpo. Ma, benché le emozioni possano venire sperimentate fisicamente, esse non sono questo disagio fisico come tale.
Se durante una forte emozione si richiede a qualcuno di prestare attenzione allo stomaco e al petto, per “vedere se prova disagio lì”, il disagio che appare è del tutto diverso dall’emozione stessa.
Questo disagio fisico si rivela meno intenso e non altrettanto aspro con la persona dell’emozione forte.
Tipicamente è presente anche uno strano tipo di gratitudine proveniente da questo disagio fisico, come se “quello” fosse grato dell’attenzione ricevuta.
Circa metà o un terzo delle persone trovano difficile prestare attenzione direttamente all’agio/disagio nella parte centrale del loro corpo. Non percepiscono la parte centrale del corpo dall’interno, il che sembra strano a coloro che lo hanno sempre fatto. Le persone devono scoprire questa semplice capacità umana prima di poter trovare la sensazione significativa. Abbiamo sviluppato alcuni piccoli passi specifici per questa difficoltà, ad esempio: “Poni l’attenzione nell’alluce destro… ora nel ginocchio… puoi trovare il ginocchio senza muoverlo?… ora l’inguine… sali fino allo stomaco, come va lì? Caldo ed oscuro? o cosa?”
Una volta che le persone riescono a percepire lo stomaco e il torace dell’interno, vi è una ulteriore distinzione, quella davvero importante.
Le sensazioni fisiche ordinarie sono, ad esempio, una cintura che è troppo stretta, o un dolore, mal di stomaco, eccitazione sessuale, il cuore che batte. Queste sensazioni sono puramente fisiche. Il disagio di una situazione o di un problema è lì anch’esso, nella parte centrale del corpo. (Può essere anche qualcosa di positivo: la sensazione di apertura nel torace è il segno di qualche evento liberatorio.)
La differenza consiste nel fatto che la sensazione fisica ordinaria non contiene un “di”. La sensazione della cintura troppo stretta non contiene in sé le complessità e le ragioni del perché l’abbiamo stretta. È solo la pressione della cintura. Tuttavia, una sensazione fisica di “stretto” molto simile può emergere nello stomaco quando si percepisce una situazione nella sua globalità. Questa impressione di “stretto”, parimenti fisica, è la sensazione significativa della situazione. Implicite in essa sono presenti molte più complessità di quanto si possa sapere o immaginare.
La maggior parte degli attuali metodi di lavoro con il corpo non coglie la sensazione significativa, in quanto lavora solo con le sensazioni fisiche, di solito con i muscoli periferici.
Le emozioni producono sensazioni fisiche, il nostro cuore batte e noi tossiamo, sputiamo, ansimiamo, eppure l’impressione corporea dell’implicita complessità non si trova in queste sensazioni fisiche e neppure nell’emozione. La sensazione significativa è diversa da entrambe.
Un’altra specificazione precisa: nella terapia Gestalt, dall’attenzione corporea emergono immagini ed emozioni spontanee, senza sensazione significativa. La persona non ha la percezione della fonte dalla quale esse provengono. Tale fonte non emerge di per sé, come dato. Ad esempio, immagini e parole appaiono all’improvviso mentre si presta attenzione alla tensione nelle spalle. Ma non c’è nessuna sensazione significativa nelle spalle. Prima o dopo che tale materiale spontaneo sia emerso, la persona potrebbe (ma nella terapia Gestalt di solito non lo fa) prestare attenzione alla parte centrale del corpo, dove potrebbe emergere una sensazione significativa della tensione nelle spalle e delle immagini.
La sensazione significativa emerge nella parte centrale del corpo: gola, torace, stomaco od addome.
Differenza tra “Esperienza Negata” e Ciò che Emerge da una Sensazione Significativa
L’impressione corporea di una situazione (la sensazione significativa) è sempre nuova, fresca, è il modo in cui il corpo comprende il problema ora. Può emergere anche qualche contenuto dal passato, ma la sensazione significativa è sempre qualcosa di più: l’intero, nuovo, del momento presente.
Questo punto viene spesso frainteso. Alcuni terapisti vogliono che il contenuto riguardi il presente, il cosiddetto “qui ed ora”. Ma in qualsiasi presente è sempre implicita l’esperienza passata. Altri terapisti pensano che in una persona non possa emergere nulla che non sia il rivivere qualche passato represso. Ma l’esperienza è sempre presente. Rivivere un evento passato significa esperirlo nel presente, fresco, ora, ed ha la qualità dell’interazione presente.
I passi terapeutici non sono il riemergere di esperienze negate. Quello che conta di più per i passi di cambiamento è precisamente la nuova implicita complessità della vita del corpo. Naturalmente il passato è in essa. Ma la sensazione significativa del momento presente è molto più dei contenuti del passato che possono risaltare in primo piano.
I passi di cambiamento possono sorgere dalla sensazione significativa del rivivere il passato, ma possono non sorgere se viene enfatizzato il contenuto del passato da solo e la qualità dell’intero non si forma come dato.
I passi di cambiamento possiedono una saggezza sorprendente ed una novità creativa. Non sono il mero emergere del passato. Può essere sembrato così, perché gli eventi del passato spesso fanno drammaticamente parte di un processo terapeutico presente. Inoltre, nella teoria tradizionale, tutta l’esperienza proviene dall’esterno. Ad esempio, l’immaginazione potrebbe essere solo una qualche versione (spesso indecifrabile) di quanto una volta è stato visto o sentito esternamente. Oggi, riconosciamo la vasta creatività dell’immaginazione, che va molto oltre quanto può essere fatto a partire da esperienze esterne. E i passi di cambiamento implicano molto più che la sola immaginazione.
I passi di cambiamento dai quali dipende la terapia tengono in considerazione molti più bisogni simultanei di quanti uno possa mai pensare, figuriamoci pensarli simultaneamente. La sensazione significativa è quel nuovo insieme, quel nuovo intero dal quale emergono tali passi.
Pertanto, dobbiamo sottolineare la differenza tra le esperienze passate negate e l’impressione corporea globale del momento presente. Spesso però questa non è lì per essere percepita. È possibile che le persone debbano rimanere tranquille e in silenzio e lasciare deliberatamente che tale impressione olistica emerga come un dato.
Differenza Tra Sentimenti Inerenti ad un Problema e la Sensazione Significativa dell’Intero
Che si applichi la propria attenzione ad una situazione nella sua globalità o ad un qualche piccolo aspetto di essa, la sensazione significativa corporea di ciò sarà un intero. Suona contraddittorio, lo so, eppure l’impressione corporea del più piccolo aspetto di qualcosa costituisce un intero implicitamente complesso, davvero non più piccolo della percezione di qualche vasto tema. Si tratta sempre del vissuto corporeo globale di…
Questa globalità è una caratteristica della sensazione significativa.
Le emozioni e i sentimenti consueti sono solo parte di una situazione. Con quei sentimenti noi sentiamo dentro un problema, circondati da esso, parte di esso. Ma se diventiamo distanti ed “obiettivi” non sentiamo affatto il problema. Nell’esperienza ordinaria non c’è modo di sentire un problema come un intero con il quale ci confrontiamo.
Sarà solo la parte sinistra del naso, ma quando il vissuto corporeo di ciò diviene un dato, viene percepito come “quell’intera cosa là “.
I passi di cambiamento rappresentano trasformazioni di tale intero, di tale globalità. L’intera mappa cambia. Il passo non può essere individuato sulla mappa precedente.
Differenza tra Rilassamento Molto Profondo e la Sensazione Significativa
L’ipnosi e il rilassamento molto profondo sono stati considerati e scartati da Freud e da molti altri fin da allora. Dobbiamo lavorare con qualcosa di più della “coscienza”, ma non limitando o ingannando il cliente cosciente.
La sensazione significativa, che chiamo anche il “margine della coscienza” è il centro della personalità. Si trova tra la consueta persona conscia e le portate profonde, universali, della natura umana, dove non siamo più noi stessi. È aperta a quanto emerge da questi universali, ma sembra “davvero me”. La sensazione significativa e ciascun piccolo passo giungono già “integrati” e non come un cosiddetto “materiale inconscio”.
La sensazione significativa è sempre un vissuto appena reso unico. Il suo intimo emergere viene percepito come un “me” più genuino dei sentimenti familiari.
Contro la Vivisezione
Ora il lettore potrà verificare se fino a questo momento la mia comunicazione è stata efficace. Riuscite a seguire questa esposizione?
Oggi, il tipo più comune di attività interiore inutile non è la semplice intellettualizzazione o la mera razionalizzazione, e neppure risentire gli stessi sentimenti più e più volte. Oggi, il tentativo più comune ed inefficace di aiutare se stessi è quello che ora chiamiamo “vivisezione”. Si è molto attivi “in alto”, nella mente, disegnando mappe e tentando di comprendere i propri problemi pensando ora a questo ora a quello, ma, invece di limitarsi ad intellettualizzare, si percepisce nelle viscere ogni mossa che si compie in alto!. Sono proprio tutte queste mosse a fare male.
Prestare Attenzione a Queste Ferite e a Questi Sentimenti Viscerali Generati dal Proprio Farsi a Fette non è Focusing e Non Viene Consigliato
Ai tempi in cui le persone per lo più non erano in contatto con i propri sentimenti, la creazione di mappe mentali, “in alto”, era semplice intellettualizzazione. Ora è peggio! È la parte più viscerale di voi che state facendo a fette, in un modo o nell’altro, come ordinato dalla testa.
Il processo interiore che stiamo descrivendo implica rimanere tranquilli e percepire il disagio nel corpo, direttamente, intero come viene, senza applicargli mappe, tagli e distinzioni. Se lasciate che l’attenzione vada direttamente al disagio corporeo, vi sentirete un po’ meglio.
Quindi, lasciate che quello crei mappe, lasciate che quello smisti se stesso in tutti i pezzi o le parti in cui vuole separarsi per conto suo, ma voi iniziate sempre con “tutta quella faccenda nel suo insieme” e non con alcunché avrete ritagliato dal vostro vissuto interiore.
Per quanto bene crediate di aver definito un problema, consideratelo come ancora indefinito. Usate il modo con cui lo avete chiamato esclusivamente come un puntatore e chiamatelo “tutta quella cosa là”, qualsiasi cosa possa essere e qualsiasi cosa possa portare, senza smembrarlo prima e percependo poi gli effetti di questo smembramento.
Insegnare il Ruolo del Cliente
Iniziammo ad “insegnare” al cliente come trovare tale sensazione significativa molti anni fa, quando ricerche e studi ripetuti mostrarono che coloro che non affrontavano la terapia in questo modo diventavano casi senza successo. Oggi, quello che chiamiamo focusing può essere mostrato a tutti.
Allora ed oggi insegniamo al pubblico l’ascolto (il ruolo del terapista), così come la focalizzazione. Userò alcuni esempi tratti dagli inizi di tale insegnamento, per portare avanti la nostra domanda: Cos’è quella cosa da cui nascono i passi di cambiamento?
Ad esempio, ad un cliente (oppure ad una persona con la quale stiamo praticando l’ascolto) viene chiesto di verificare una risposta empatica: “Ti prego di non assentire per educazione. Quello che ti ho ripetuto, andava davvero bene? ” Ma la persona che si trova nel ruolo del cliente potrebbe verificare solo le parole: “Sì, è quello che avevo detto.”
Cosa c’è, precisamente, di sbagliato in ciò, come reazione ad una risposta che nasce dall’ascolto? Quando la terapia è efficace, con la risposta dell’ascoltatore il cliente fa qualcosa di più che non sia il solo verificare le parole. Cosa di più?
Cosa presumiamo che faccia il cliente con una risposta nata dall’ascolto?
Noi speriamo e presumiamo che i clienti verifichino la risposta non con quanto essi hanno detto o pensato, ma con un qualche cosa, qualche luogo, un qualche dato più interiore… “la sensazione significativa”; non disponiamo di nessuna parola ordinaria per quello.
A questo punto, si potrebbe percepire un effetto, un piccolo allentamento interiore, una risonanza. Quello che sembrava essere là è stato espresso e ascoltato. Non ha bisogno di essere detto di nuovo. Per alcuni momenti vi è un ammorbidimento, dentro. (In termini teorici è stata la risposta interpersonale a permetterne lo sviluppo.) Presto sopraggiunge qualcos’altro. Quello che “era” là si trasforma e si aggiunge dell’altro.
Noi speriamo che i clienti “verifichino” non solo quello che diciamo, ma anche quello che loro dicono, con quella cosa che sta dentro. Grazie a ciò all’interno della persona si genera una distinzione: il sé consueto viene verificato con la sensazione significativa.
Quei clienti delle ricerche che in seguito trassero beneficio dalla terapia differiscono dagli altri clienti esattamente sotto questo aspetto. Si può sentire nelle registrazioni. Dopo aver detto qualcosa, questi clienti spesso si fermano per verificare. Ad esempio: “Mi sento privo di aiuto… uhm… è giusto?…” Dopo un silenzio, potrebbero dire: “No, … non va bene. Uhm … posso sentirlo, proprio lì, ma non so cos’è. (Silenzio)… Oh, (respiro)… whew, sì, è…” mentre avviene un grande cambiamento. Oppure potrebbero dire: “… oh … una cosa su questo è che… ” quando si presenta qualche nuova sfaccettatura.
È evidente che il cliente che parla deliberatamente, quello con il quale noi ci relazioniamo non è quello al quale soprattutto sono rivolte le nostre risposte! Piuttosto, noi speriamo che il cliente che parla porti le nostre risposte giù, a consultare quell’altro, la sensazione significativa. Speriamo che il cliente lasci parlare quest’altro, aspetti quanto proviene da quest’altro, lavori per trovare parole che “risuonino” con quest’altro, invece che interromperlo, rampognarlo o interpretarlo.
Qui scopriamo una analogia affascinante.
Il Cliente del Cliente
Nello specificare il lato del cliente di un processo terapeutico scopriamo una distinzione all’interno della persona. Questa distinzione è una forte conferma della terapia centrata sul cliente.
La sensazione significativa è il cliente dentro di noi. Il nostro consueto sé conscio è il terapista, spesso un terapista crudelmente direttivo che interferisce per tutto il tempo con il nostro cliente interiore. Questo terapista spesso attacca in modo ostile, o almeno vuole usare tutte le vecchie informazioni, rivendica di essere più intelligente del cliente, parla in continuazione, interrompe, monopolizza il tempo con inferenze ed interpretazioni distanti e a stento si accorge che “il cliente” non viene lasciato parlare. Questo “terapista direttivo” a mala pena sa che il cliente è là. Questo “terapista” inizia senza il cliente, come nella barzelletta, e va avanti indefinitamente senza il cliente.
Le ricerche mostrano che ad avere esiti positivi sono quei clienti che hanno un approccio centrato sul cliente nei confronti della loro sensazione significativa.
Naturalmente, non si tratta di una persona all’interno della persona, ma di un certo tipo di processo di auto-risposta.
Tuttavia, sarebbe impreciso chiamare questa cosa essere centrati sul cliente “con se stessi”. Piuttosto, è necessaria, all’interno della persona, la distinzione tra il consueto sé e la sensazione significativa. Quest’ultima è esattamente quella parte alla quale sono rivolte le risposte centrate sul cliente.
Da Platone e Freud l’uomo ha distinto differenti parti della psiche. Qui sorge ora una distinzione che viene delineata meglio nei termini di approccio centrato sul cliente.
La Sensazione Significativa È il Cliente del Cliente
Le attitudini e le risposte del cliente verso la sensazione significativa devono essere quelle di un terapista centrato sul cliente! E questo è focusing. Pertanto, posso specificare ulteriormente il focusing se considererete alcuni dei principi dell’approccio centrato sul cliente in questo nuovo modo.
Qui ci sono alcune norme della terapia centrata sul cliente che acquistano un nuovo significato quando vengono applicate interiormente, all’interno di una persona.
Di solito la sensazione significativa non si forma neanche, né emerge a meno che il “terapista” interiore dapprima non conceda attenzione e tempo di attesa silenzioso. Il “terapista” interiore del cliente (il suo sé conscio) deve accantonare un bel po’ di conoscenze e di congetture, deve trattenersi dal dare molte interpretazioni interessanti e preferire invece aspettare, silenziosamente, mentre per un certo lasso di tempo non succede molto.
Troviamo difficile mettere da parte tutto quello che sappiamo su noi stessi e sullo specifico problema, in modo da poter udire quanto arriva dalla sensazione significativa.
Dapprima, il nostro “terapista direttivo” interrompe spesso. Interpretazioni ed inferenze proseguono nelle nostre teste. Dobbiamo “accantonare” queste più e più volte, in modo da poter ascoltare la sensazione significativa.
Quanto proviene da una sensazione significativa può dapprima sembrare meno sofisticato di quanto pensiamo. Se lo riceviamo e lo facciamo risuonare, presto quanto emerge si palesa più intricato e più corretto di quanto potremmo pensare.
Impariamo che quello che emerge dalla sensazione significativa ha la sua propria logica e le sue buone ragioni, anche se queste non sono immediatamente evidenti.
Non imponiamo i nostri valori per impartire una direzione ai passi successivi. Al contrario, spesso impariamo attraverso l’esperienza con il cliente che alcuni modi di vivere e di sentire possono essere buoni, anche se i nostri valori sembrano opposti. Ora non entrano in conflitto, eppure non scartiamo i nostri valori. I valori iniziali hanno una parte e inoltre vengono modificati in tali passi.
Cerchiamo di ricevere qualsiasi cosa emerga dalla sensazione significativa. Lasciamo che sia presente almeno per un momento. Non cerchiamo di modificarla, di cambiarla né di sospingerla immediatamente oltre.
E neppure come prima cosa conveniamo con ciò che emerge da una sensazione significativa. Sappiamo che vi saranno passi ulteriori. Sviluppiamo l’attitudine di dare il benvenuto a qualsiasi cosa emerga, anche se sembra negativa o non realistica. Sappiamo che i passi ulteriori possono cambiarla. Tali passi possono sopraggiungere solamente se prima riceviamo ed accogliamo quello che ora è qui.
A volte abbiamo un’idea, ma non decidiamo se è giusta o meno. La manteniamo in sospeso e consultiamo la sensazione significativa. Se c’è un allentamento, una risonanza, in risposta a quello che proponiamo, gli prestiamo attenzione fino a quando da lì non provenga di più.
Nuove Specificità
In questa sede non voglio ripetere le istruzioni di focusing e le specifiche per la soluzione di difficoltà nel processo che sono state presentate in modo molto dettagliato in Focusing (Gendlin 1981). Vorrei presentare il lavoro più recente. Pertanto, quello che posso dire qui non è sufficiente a mettere le persone in grado di scoprire il focusing da sole.
Abbiamo suddiviso le istruzioni di focusing in sei “movimenti”. Ora troviamo essenziale insegnare queste parti separatamente, dando tempo ed attenzione individuale ad ogni persona in ciascuna parte.
Riassumerò questi sei movimenti ed offrirò una o due specifiche nuove su ognuno di essi.
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Proprio come all’inizio dell’ora non diciamo ai clienti su cosa lavorare, allo stesso modo non lasciamo che il terapista interiore direttivo imposti rapidamente l’argomento. Il cliente potrebbe impiegare un minuto o due nell’eseguire una scansione interna, percependo le varie cose che sono presenti e scegliendo solo dopo su cosa lavorare.
Il primo movimento del focusing, “creare uno spazio”, una volta era un semplice preliminare. Prima di focalizzare effettivamente eseguiamo una specie di inventario di cosa proprio ora ci è di ostacolo al sentirci bene nella parte centrale del corpo. Per fare questo, prestiamo attenzione a quella zona e percepiamo cosa, proprio ora, ci impedisce di sentirci bene lì.
Ad esempio, si potrebbe trovare: “Oh… certo, la tristezza per aver rotto con …, sì, naturale, eccola là… (respiro) e … oh, devo chiamare il dentista, … e … mmh, sono stanco!” Può capitare di trovare tre o quattro punti, di solito di importanza molto diversa. Ciascuno di questi viene ringraziato gentilmente e “posto” da qualche parte in uno spazio davanti a sé, uno per uno. Nel centro del corpo si sente un certo sollievo fisico ad ogni sistemazione, anche se non abbiamo focalizzato su questi problemi ma li abbiamo solo sistemati. In questo spazio che è stato liberato iniziamo a focalizzare su uno di essi o su qualcos’altro.
A partire da questo umile movimento preliminare si è sviluppato, tra le altre cose, un metodo per lavorare con approccio psicoterapeutico con pazienti malati di cancro. (Focusing Folio, Vol. 2, N° 4, 1982 e Vol.-, N°-, 1983.) Ciò ebbe inizio in quanto si pensava che i malati di cancro fossero tipicamente poco abili nel percepire il proprio corpo dall’interno. Sembrava una buona previsione di ricerca il fatto che essi fossero incapaci di eseguire il primo movimento del focusing. Invece, essi poterono tutti creare uno spazio e trovare quella buona energia corporea che ne proviene.
Una nuova versione, più elaborata, del primo movimento apre un vasto spazio che ha più tipi di significato di quanto non possa discutere in questa sede. -
In una terapia molto direttiva, i pazienti spesso vengono azzittiti interiormente. Quello che emergerebbe in loro, passo per passo, non può emergere in quanto questi terapisti non credono che quanto essi dicono possa essere verificato internamente e corretto dal paziente. Descrivendo l’ora di terapia, tali pazienti di solito riportano “quello che il mio terapista dice…”.
I terapisti con un approccio centrato sul cliente (forse tutti i terapisti efficaci) desiderano che quanto dicono sia corretto dal cliente. Spesso, ciò che non è giusto in una risposta lascia che quello che è giusto emerga improvvisamente nel cliente in modo più vivido.
Anche all’interno di noi stessi qualcosa può intervenire distintamente a correggere quello che cerchiamo di dirci. Ad esempio, oggi qualcosa è andata storta e ci diciamo “Va bene … Non importa … presto lo avrò dimenticato … le persone mature non si alterano così tanto per così poco … va bene … va bene … vedila in questo modo …” e così via. Ciascuna di queste cose è contraddetta dal disagio che “replica” e corregge vividamente i nostri tentativi di mandarlo via pensando.
Quando un disagio è già presente, è possibile rivolgersi ad esso e prestargli attenzione. Ma spesso ci sono solo i sentimenti familiari.
Lasciare che la sensazione significativa emerga è la parte più difficile del focusing. Un modo specifico tra gli altri si basa sull’effetto che ho appena descritto. C’è una certa ironia nel fare uso di questo effetto. Anche se sappiamo che c’è un problema che non “va bene” per niente, interiormente ci diciamo, deliberatamente, “Va bene, l’intera faccenda va bene. Mi sento completamente a mio agio con tutto ciò”. Ponendo l’attenzione nella parte centrale del corpo di solito sentiamo, improvvisamente e nitidamente, il corpo che replica, dandoci una o più impressioni corporee distinte di quel particolare problema o di quella particolare situazione. Che effetto interessante!
Una impressione corporea può venire e replicare in modo da correggere affermazioni sbagliate. Il corpo può comprendere le parole e inoltre conosce la situazione. Può essere in disaccordo con le nostre parole. Nella parte relativa alla teoria riformuleremo questo fatto in termini migliori.
Perché avvenga questa replica del corpo è necessario un livello medio di rilassamento. La maggior parte delle persone trascorre la giornata con il corpo in condizioni di tensione massima, quindi ne percepisce poche variazioni. D’altro canto, un livello elevato di rilassamento impedisce che questa replica corporea abbia luogo. Nell’ipnosi, ad esempio, il corpo si sente effettivamente a proprio agio quando gli si dice di sentire così. Nessuna sensazione significativa emergerà a correggere le parole. -
I terapisti possono parafrasare la maggior parte di quello che un cliente dice, ma stanno attenti a mantenere uguali le parole cariche in modo cruciale. Potremmo parafrasare una lunga storia semplicemente come “quello che hanno fatto”, ma se il cliente usa la parola “apprensivo”, non la cambiamo in “spaventato” o “preoccupato” perché il cliente potrebbe perdere la presa su ciò che quella parola veicola proprio ora. Una tale parola può essere un “aggancio” che aiuta a mantenere il contatto con tutto un mondo.
Nel focusing, quando una sensazione significativa emerge, ci si concentra sulla sua qualità e si cerca di trovare una parola-aggancio per quella qualità. Già solo il fatto di cercare una parola aiuta a restare in contatto con la sensazione significativa in quanto sensazione corporea, invece di entrare nei sentimenti e nei pensieri familiari inerenti al problema. È “irrequieto” o più come “pesante”? È “piatto” o forse “affollato” o “respinto”, o come? Può un’immagine andar bene per tale qualità? La funzione più importante di quest’operazione consiste nel fatto che essa aiuta a rimanere in contatto con la sensazione significativa. Se nulla va bene, chiamatela “quella qualità”. -
Quando un parola-qualità sembra giusta, la facciamo “risuonare” come una risposta dell’approccio centrato sul cliente. Chiediamo: “Questa parola (o immagine) va bene davvero?” È la sensazione significativa che deve rispondere.
La conoscenza che il corpo ha delle parole è sorprendentemente sottile ed esigente. Una data parola-qualità risuona. Altre parole che sembrano equivalenti vengono rifiutate dal corpo. Se la sensazione significativa rimane statica, se la parola non compie nulla, la parola non risuona. Provatene un’altra. Quando una parola, o una frase, o un’immagine, va bene, un leggero ma gradito effetto fisico sopraggiunge ogni volta che si pensa la parola (o si ricrea di nuovo l’immagine).
Con questo effetto fisico, l’intero problema si allenta nel corpo. Ora, consigliamo di farlo parecchie volte, non una soltanto. -
Quanto spesso come terapisti siamo contenti di esserci trattenuti dal fare un’interpretazione che sembrava così giusta?… Pochi momenti dopo, la stessa vaghezza del cliente, direttamente percepita, si apre e altera totalmente quello che sembrava essere il problema. Spesso la nostra interpretazione non era neanche sull’argomento giusto.
Questo fenomeno si verifica anche interiormente. Dopo tutto, sappiamo un mucchio di cose su noi stessi. Eppure, questa indistinta ed olistica sensazione significativa “sa” di più. Quando un nuovo passo si muove da lì, l’intera la mappa del problema cambia.
Naturalmente la sensazione significativa non può rispondere se non è lì proprio ora. Riportarla alla memoria pochi momenti dopo non è sufficiente. Ora, “la sensazione significativa è ancora lì? Ah, c’è ancora.” (Se non viene, provate dicendo che il problema è risolto completamente…)
Ho scritto del mutamento sentito come di un flusso di sollievo fisico. Ma anche appena un po’ di “cedimento” cambia sottilmente la globalità. Questo cedimento si sente come positivo quando il problema è stato bloccato per molto tempo. Quando normalmente si è tesi ed agitati, lo si potrebbe perdere. Sorvegliate i piccoli moti di leggero sollievo nella sensazione significativa.
Perseguite qualsiasi pensiero, immagine, o qualsiasi cosa che reca tale piccolo sollievo. -
Noi non discutiamo con quanto emerge nel cliente, che lo si chiami irrealistico, egoista o cattivo. Noi riceviamo qualsiasi cosa il cliente offra. Gli diamo tempo. Non chiediamo subito, “E perché?” oppure, “E qual è il prossimo passo?”
I passi di cambiamento possono venire solo da questo, quindi, dobbiamo lasciare che sia presente, qui, per un po’.
Recentemente avvertiamo le persone di notare come il “terapista direttivo” interiore possa confutare e distruggere quello che arriva con un mutamento sentito. Può accadere così rapidamente che è possibile non accorgersene. Quel qualcosa che sopraggiunge con quel caratteristico mutamento o “cedimento” interiore non fa in tempo ad arrivare che è già andato via di nuovo! Cosa è successo? Qualcuno dentro, rapidamente, ha detto: “Non è realistico, è sciocco, non posso farcela, sarebbe arrendersi, non può essere giusto.”
Il sesto movimento, “ricevere”, ha bisogno di un insegnamento separato. Con la pratica si impara a mettere da parte le vecchie voci prima che affollino l’impressione corporea del mutamento. Invece, si può ripetere qualsiasi parola che arrivi con il mutamento, percependo se produce di nuovo quel mutamento. In questo modo, il mutamento rimarrà là per un certo tempo. Lasciate che le vecchie voci stiano da una parte e aspettino. È solo un piccolo passo. Non sto ancora prendendo decisioni. Questo piccolo passo può venire solo proprio ora. Lasciatemelo tenere per un po’ e vedere un po’ di più di cosa si tratta.
Tra un minuto potrà avvenire un altro giro di focusing. Ma proprio ora, lasciatemi vedere se posso percepire questo mutamento, ancora e ancora.
Sulle Istruzioni
Lo schema di questi sei passi è molto utile, ma non rendiamolo rigido. Gli esseri umani sono immensamente più complessi e sorprendenti di qualsiasi schema, figuriamoci di un semplice passo tra sei!
Diamo istruzioni “su livelli separati”: “Cercate di applicare le nostre istruzioni quanto più esattamente vi riesce, ma, nel momento in cui vi sembra che operini una qualche violenza in voi, fermatevi, non scappate via; invece, guardate direttamente cosa avete lì”. Su un livello, “prego, seguite le istruzioni” e su un altro livello, “prego, non seguite le istruzioni”.
Dopo tutto, stiamo descrivendo ed insegnando un processo che emerge interiormente, che è proprio del singolo individuo. L’istruzione su livelli separati consiste nel trovare il vostro processo con il nostro schema, o nel trovare dove il nostro schema non va bene.
Molto presto, imparando il focusing, la maggior parte delle persone arriva ad un punto in cui ride e dice: “Oh, era questa la difficoltà che stavo cercando di “mettere a posto” e che mi ostacolava “. Dopo questa risata, sanno.
Ad esempio, nel nostro schema, il mutamento sentito arriva nel quinto movimento, anche se, in effetti, può arrivare in qualsiasi momento. Naturalmente, ricevete quello che arriva.
Molti terapisti hanno trovato molto efficace insegnare il focusing direttamente ai propri clienti. Questa didattica deve essere distinta chiaramente dalla normale interazione terapeutica.
Focusing durante una Terapia
Tutte queste istruzioni possono essere usate durante una psicoterapia, ma in un certo modo, il che mi porta ad un principio più ampio.
Esistono molte teorie e molti altri strumenti terapeutici utili. Possono essere usati tutti sulla linea di base dell’approccio centrato sul cliente. Con questo intendo:
Qualsiasi cosa io dica o faccia nella terapia viene immediatamente verificato con la risposta interna del cliente. Ciò significa che raramente io dico o faccio due cose consecutive senza che tra esse vi sia un’espressione del cliente. Quindi, rispondo in un modo improntato all’ascolto a qualsiasi cosa il cliente esprima, e di nuovo a quello che arriverà ulteriormente. Dò sempre priorità al passo proprio del cliente. Qualsiasi altra cosa io possa fare deve aspettare.
Ciò trasforma il carattere di interpretazioni, istruzioni e di qualsiasi altro strumento terapeutico utile.
Devo scartare rapidamente qualsiasi cosa io abbia tentato se non è di aiuto, in modo che non vada ad intralciare il processo proprio del cliente.
Dapprima i clienti pensano di dover spiegare perché quello che avevo detto era sbagliato. Spesso li interrompo: “Oh, vedo che mi sbagliavo. Ascolta di nuovo come è per te.” I clienti che lavorano con me presto riconoscono che quello che dico non è una affermazione su di loro, ma un invito a che essi percepiscano internamente. Spesso verbalizzo questa cosa come prima cosa: “Ma è giusto… o come si dovrebbe dire?”
Una volta che le persone sanno che la mia intenzione è questa, quello che dico di sbagliato le disturba molto meno e viene scartato rapidamente.
Anche quando sono utili, altre cose non devono sostituire l’ascolto troppo spesso (il che include sicuramente le istruzioni di focusing). Troppe utili interruzioni bloccano il processo che si sviluppa internamente in modo proprio al cliente o, peggio, gli impediscono di sorgere. È necessario che vi siano lunghi periodi durante i quali ascolto e rifletto esclusivamente.
Come il Focusing Trasforma il Modo di Parlare
La maggior parte delle persone vive nei propri discorsi così come parla. Soprattutto i clienti di una terapia centrata sul cliente sono abituati ad “esporre” i loro problemi e le loro preoccupazioni. L’attenzione è su quello che viene detto. Il focusing modifica questa abitudine. Qualsiasi cosa il cliente vuole fare è ancora bene accetta, incluso questo modo di parlare. Ma, ora non si presume che sarà l’esposizione dell’argomento a fare il lavoro. Piuttosto, i passi di cambiamento potranno sopraggiungere internamente percependo il margine. Quando quello si apre, il processo si muove.
Ciò richiede che le risposte centrate sul cliente siano mirate più precisamente. Non ha importanza che la risposta sia più o meno giusta. Una buona risposta mira a e crea il contatto con quel qualcosa a partire dal quale il cliente parla, piuttosto che ripetere quanto era stato detto.
Quando il cliente non esprime un margine indistinto, possiamo noi puntare ad esso. Ciò crea un certo numero di modalità di risposta specifiche:
a. Il solo ripetere alcune volte, tranquillamente e lentamente, una zona sentita profondamente può aiutare la persona a scoprire la più ampia impressione corporea dalla quale provengono i passi.
b. A volte il terapista può dire, “Proviamo a stare tranquilli per un momento, così puoi percepire tutto questo.” Oppure, se è vero, il terapista può dire, “Aspetta… sto ancora sentendo quello che hai appena detto… uh…” Sono modi per far rallentare il modo di parlare così che possa accadere di più.
Se allora il cliente continua a parlare, risponderemo in modo consueto e non rimarremo fissi su qualche nostra opinione.
c. Talvolta possiamo aggiungere al contenuto qualcosa come: “… e quello non è ancora chiaro” oppure “… e tu ancora non sai cosa è questa cosa” oppure “… e c’è questa impressione, che potrebbe diventare diversa, ma non è ancora chiaro come”. Le persone sono abituate socialmente a smettere di parlare quando arrivano ad un margine irrisolto. Spesso è di aiuto fare riferimento a questo margine come tale.
d. Anche quando non sembra essere presente alcun margine, il cliente potrebbe trovarne uno se il terapista si riferisce al margine come se fosse presente, lì, una versione sentita in concreto di quello che è stato detto.
Ad esempio, il cliente dice: “Evidentemente non voglio fare questo (ottenere un lavoro, incontrare nuove persone, redigere un atto) perché quando arriva il momento, non lo faccio.” Una normale risposta centrata sul cliente potrebbe essere: “pensi di non volerlo fare perché in qualche modo non lo fai.” Una risposta di invito al focusing potrebbe essere: “Qualcosa in te non vuole…” oppure “C’è un qualche senso di non voler…”, oppure “Quando il momento arriva, qualcosa ti ferma.”
Un altro esempio:
Cliente: “Credo davvero che è per questo che sto con lui, perché ho bisogno di sicurezza.” Una risposta di tipo focusing potrebbe essere: “Sei quasi sicura che è per sicurezza, quel senso là, di aggrapparti a lui.”
Quasi tutto può essere riflesso con un implicito invito a percepire “questa cosa” come quello, proprio lì. Se mi dici che questo capitolo ti piace, potrei riflettere che hai una sensazione che il mio capitolo ti piace, là. Allora potresti trovare più direttamente quel dato, quella sensazione, quel luogo in te dove ti piace, quella zona, quel punto, quello.
Quanto ho descritto qui può sembrare solo una forma grammaticale, e anche una forma scomoda da usare. Probabilmente se ne potrebbe escogitare una migliore, ma c’è una grande differenza tra parlare di e puntare a. Molti clienti parlano. Alcuni di loro possono rivolgersi all’interno e prestare attenzione direttamente, non appena il terapista fa da puntatore.
e. Il focusing può essere insegnato con istruzioni occasionali su piccola scala.
Uno specifico insegnamento didattico di focusing è molto più agile, ma dovrebbe avvenire in un tempo apposito per esso, non nel mezzo di un processo terapeutico in corso. Tuttavia, prese singolarmente, tutte le istruzioni possono andare bene ed essere di aiuto allo svolgersi del processo del cliente.
Tutte le istruzioni e le specifiche che ho offerto qui si prestano ad essere usate, singolarmente, in punti in cui il cliente potrebbe usarle. Tutte le istruzioni e le specifiche di focusing possono essere usate in questo modo.
Il cliente può ignorare queste singole istruzioni. Esse non intralciano il proprio normale modo di rispondere. A qualsiasi cosa il cliente dica o faccia si può rispondere in modo accettante.
Possiamo invitare esplicitamente il cliente a vedere se è possibile trovare un tale senso internamente. Si potrebbe aggiungere: “Puoi percepire questo ora?” oppure, “Puoi sentire questo non volere, ora?”.
Oppure, “Se rimani quieto dentro di te per un minuto, puoi percepire questo non volere che ritieni debba essere lì?”
Ecco alcuni altri esempi: “Se pensassi proprio ora di prendere il giornale per cercare un lavoro… che tipo di sensazione-qualità sopraggiungerebbe nel corpo?”
Oppure, anche: “Fermati un momento. Vorrei chiederti qualcosa. Puoi mettere l’attenzione nella parte centrale del corpo? Com’è lì dentro proprio ora? (Il cliente dice che lì dentro va tutto bene.) Ora pensa a questa intera cosa di cercare questo lavoro… cosa arriva là? … (espressione del viso)… OK, rimani con questo per un minuto, con gentilezza.”
Spesso è importante aiutare le persone a scoprire l’aspetto corporeo del margine indistinto. Molte persone non hanno mai fatto attenzione internamente, nel corpo, in questo modo e hanno bisogno di un po’ di tempo per scoprirlo.
Un altro esempio:
C.: “Sono proprio arrabbiato.”
T.: “La tua rabbia è proprio lì.”
C.: “Oh, è sempre lì. Non ne posso più di questa rabbia.”
T.: “Proviamo qualcosa. Prendi l’intera situazione, tutto di lei, più di quello che sai, tutte le cose che vengono insieme a lei, e fai una specie di passo indietro come se volessi guardare tutto di lei, come una grande immagine che riempie tutta una parete in un grande edificio… Cosa arriva nel tuo corpo quando fai così?”
In questo modo il terapista può inserire tutte le istruzioni e le specifiche del focusing occasionalmente nei punti in cui un cliente che conosce il focusing probabilmente lascerebbe arrivare una sensazione significativa indistinta.
Ma, mentre le riflessioni che puntano alla sensazione significativa possono essere fatte spesso, le istruzioni devono rimanere occasionali se non vogliono interferire con il possesso del processo da parte del cliente e con l’impulso interno al processo stesso. Il terapista non deve fare costantemente in modo che accadano cose buone con le istruzioni. Devono esserci tempo e spazio vuoto e immobile perché il processo sospinto dall’interno del cliente possa presentarsi.
Se l’interazione si fa problematica, o se il cliente prova delle emozioni riguardo al fatto di ricevere istruzioni, ciò deve avere immediatamente la precedenza. L’insegnamento del focusing può essere tentato di nuovo in seguito.
T.: Puoi ricevere questo senso di dolore ora, se poni l’attenzione nel corpo, e molto gentilmente solo restare accanto a lui?
C.: Non mi piace quando mi dici cosa fare dentro di me.
T.: Non ti piace che io ti dica cosa fare dentro di te e mi vuoi fuori di là. Certo. Smetterò di farlo.
C.: Ma… uhm… Voglio quello che sai.
T.: Oh, sicuro, ti mostrerò questo metodo una di queste volte… Vuoi che io stia fuori del tuo spazio, ma non vuoi che me ne vada, … giusto?